I pregi e i limiti del mio operare
Nonostante i limiti impostomi (non volutamente) dal mio modo di fare arte, essa però mi consente qualcosa di pregevole, essere anche un po’ spettatore delle mie opere, senza limitarmi ad esserne solamente l’autore.
Questo evidenzia ciò che la mia arte ha di più elevato in se stessa, l’atteggiamento della coscienza. Lo sguardo disinteressato sulla realtà, non “il dubbio metodico” ma la sospensione del giudizio, la non considerazione della realtà ma non la negazione di essa.
Finché rimango nell’ambito della teoria, dell’astrazione del calcolo della matematica, attuo operazioni conoscitive che si occupano di fatti irreali e non reali.
Attraverso l’astrazione di una combinazione numerica risalgo a dei termini (che saranno le mie immagini) i quali, non interessandomi cosa siano in realtà, mi sono utili per il modo in cui questi oggetti mi si danno al mio disinteressato sguardo.
Quando si entra nella sfera pratica, lo spettatore che ero non lo sono più, qui interviene il mio interesse pratico che non rende più pura la conoscenza. Fondamentalmente questo è il limite del mio operare, la contraddizione in cui cado.
Per non considerare questo limite come limite di conoscenza, devo o non fare arte o fare solo della filosofia, ma non ne ho la capacità.